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Natura e Avventura

Il trekking a Cavallo come meditazione

di Andrea Rigante

Il sogno di cavalcare affonda le sue radici oltre la  passione individuale di chi pratica equitazione, attingendo ad un retaggio ancestrale, articolato e complesso, presente in tutte le civiltà antiche, nell’iconografia classica, nella mitologia e nella storia di regni e imperi.  

Il cavallo nei millenni ha assunto differenti ruoli nel suo rapporto con l’essere umano: divinità, spirito guida, alleato in battaglia, strumento di lavoro, simbolo di forza, eleganza e bellezza. 

Un tempo il cavallo era  il solo mezzo di trasporto efficace per spostarsi nella maggior parte dei territori. Così l’esplorazione di nuove aree geografiche, fino al secolo scorso, si svolgeva in parte con l’aiuto di questo generoso animale, spesso relegato al ruolo di mera forza motrice.  

Oggi non ne abbiamo più necessità. 

Tecnologia e innovazione, hanno riempito  gli spazi vuoti sulla mappa, regalato nuovi mezzi e strumenti. Con la prima guerra mondiale : cavalli, muli e asini sono scomparsi dalla nostra società come elemento essenziale al nostro sviluppo socio-economico. Almeno in questa parte di mondo. Oggi, viaggiare a cavallo è diventato così uno svago, un passatempo, un piacere,un desiderio di pochi e rappresenta, però, per alcuni, una manifestazione della propria individualità, il più appagante obiettivo della propria formazione equestre, con  il malcelato desiderio che possa trasformarsi in uno stile di vita e in un atto culturale. 

Il desiderio di tornare ad un esistenza dura e romantica a un tempo.

 Aldilà delle discipline sportive, al di là di salto e dressage e le infinite declinazioni dell’equitazione moderna, il metodo caprilliano rappresenta un punto di arrivo e di eccellenza della tecnica equestre tradizionale,orgoglio della cultura nazionale,  nonché  base tecnica imprescindibile per il trekker viaggiatore. 

L’equitazione di campagna,intesa come campagna militare,  nacque per le esigenze belliche moderne, per cui era necessario essere rapidi, leggeri e  i cavalli dovevano avere piede sicuro e sangue freddo. Il cavaliere e la sua cavalcatura dovevano sapersi destreggiare sui più complessi e articolati  territori: bosco, montagna, pianura, fiumi e ovviamente sui campi di battaglia. 

Ogni tipologia di terreno ha un suo metodo di ingaggio, un suo approccio, le sue accortezze, le sue prudenze e i suoi rischi. E richiede attrezzature specifiche, esperienza elevata e competenze che vanno ben oltre il semplice cavalcare, come amministrare le energie del binomio, preparare l’affardellamento, procurare il cibo per se e per il proprio cavallo, allestire un campo sicuro, selezionare percorsi e sentieri, consultare cartografie, avere competenze di mascalcia e di primo soccorso veterinario.

Oggi la disciplina sembra disconnessa dalla sua sottostruttura militare, ma non lo è affatto, il cavaliere di campagna è diventato un trekker, un viaggiatore a cavallo. Senza  una carica, una traversata, una transumanza o un pellegrinaggio da fare. 

Senza più un obiettivo, il cavaliere, guidato dalla sua sola passione, ritrova il piacere di vivere con il suo cavallo un’esperienza appagante, di quiete, in natura, spesso in solitudine. Dove un pezzo di bosco ancora inesplorato ha la promessa di scorci idilliaci, di rivoli freschi, di prati grassi dove rifocillarsi. Una notte stellata passata accanto al fuoco e al proprio cavallo che riposa, per alcuni, vale come mille gare vinte.

L’esperienza equestre si arricchisce così, di un altro aspetto ambito: la contemplazione, l’ascesi del viandante che al suono degli zoccoli ascolta il suo incedere ritmico a cui si affida , con cui può sincronizzarsi. Sotto la sella può percepire la falcata decisa e un cuore pulsante. 

Quando di fronte a lui si apre una vallata, un respiro riempie il petto in quel medesimo istante. Che sia  un’ansa di un fiume, un lungo sentiero costeggiato da platani o un airone che si liscia le penne sui rami accasciati dalla piena di un fiume, tutto diventa bellezza.

Nelle mattine d’inverno può gioiere nel vedere il fiato suo e del suo cavallo sbuffare all’unisono nella gelida bruma. Accamparsi ed accendere il suo focolare, con il risuonare del cucchiaio nella gamella di zuppa calda, mentre il suo cavallo l’osserva con il collo reclino. 

Chi ha un cavallo può stabilire e percepire un legame speciale con il propio animale. In presenza dei cavalli è possibile rapidamente provare una sensazione di benessere. 

Come avviene questa connessione? Da cosa dipende? 

Il cuore del cavallo emette un campo magnetico di nove metri di ampiezza, da cui il cavaliere viene avvolto. Passare del tempo in solitudine con il proprio cavallo equivale ad immergersi nella sua coerenza cardiaca, che in brevissimo tempo, per simpatia, modifica anche il ritmo cardiaco e respiratorio di chi gli è vicino, ma anche l’uomo può influezare positivamente la stato d’animo dell’altro. Cavallo e cavaliere si nutrono a vicenda emotivamente, in un continuo scambio.

Forse senza saperne le regole, ma con una silente consapevolezza, il trekker, viaggia avvolto dall’aura del suo cavallo, ogni atto del singolo diviene l’atto di entrambi che trascende il dove, il quando e per quanto a lungo.

Il trekker ambisce a perdersi nel suo mondo interiore come riflesso di quello esteriore in una meditazione inconsapevole, che ne possiede però tutti i crismi: concentrazione, percezione e consapevolezza. 

Il viaggio a cavallo, quindi ritrova ciò che aveva perso, una meta, un obiettivo interiore di rinascita dello spirito, una comunione con la natura. 

Solo in tal modo il cavallo cessa di essere uno strumento, un veicolo, abbracciando le sensazioni che entrambi gli individui provano. Il rapporto diventa più equo,  gli elementi coinvolti  traggono un beneficio reciproco. Si tratta di una mutua dipendenza, dove il cavallo ha il compito di avanzare e pazientare, percepire i segnali del bosco e affidarsi, mentre il cavaliere è chiamato a  proteggere il suo compagno di viaggio ad ogni costo, da ogni pericolo, conoscerne le fragilità e le debolezze, il suo potenziale e la sua forza, saper vegliare su di lui e sulla sua salute, tenerlo al sicuro da ogni minaccia, proteggerlo da avventatezze e rischi non necessari.

Viaggiare a cavallo è ritrovare la propria umanità in comunione con la natura, è ritrovare se stessi nel camminare accanto al proprio compagno di viaggio. 

Viaggiare a cavallo vuol dire nella solitudine e nel silenzio della natura non essere mai soli. 

 

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